Part of the Stanford/Elsevier Top 2% Scientist Rankings 2024

Autore: mragnedda Pagina 33 di 34

A forza di essere vento

Anche in questo caso, come già fatto con Katy, trasformo un commento in post. Si tratta di un commento del mio amico Emiliano, su un tema molto caldo e sentito in questo periodo: il problema “sicurezza” e paura rom.
Ho già avuto modo di scrivere sul blog sui rom. Non posso dire di essere un esperto di quella cultura, ma ho avuto modo di occuparmene per puro piacere personale e per polemica politica. Nel ‘98 sulla Nuova Sardegna apparve una lettera di un consigliere comunale di Olbia che descriveva in maniera terroristica e razzista la presenza dei rom sul territorio. A quell’epoca, forse per la giovane età, ero più dedito alla polemica che al ragionamento per cui risposi, sempre dalle colonne del giornale, in maniera piuttosto piccata. Solo pochi anni dopo il nonno di un mio amico fraterno, quasi centenario, fu assassinato da due ragazze nomadi. Ciò mi indusse a riflettere. Tali riflessioni le riporto oggi, visto che il tema dei rom, degli zingari che dir si voglia(ci si dimentica dei sinti, ma non stiamo a fare una disquisizione filologica… ;) è di strettissima attualità.

Censura nel giorno della memoria

Riprendo e pubblico un commento di Katy perchè mi sembra importante riflettere su queste parole. Per questo mi sembra giusto dedicare a queste parole uno spazio più importante.

La realtà viene considerata come una cosa scomoda. Ieri si celebravano i trent’anni dalla morte per di Aldo Moro, e in contemporanea i trent’anni dall’omicidio di Peppino Impastato giornalista ucciso dalla mafia, del primo si è parlato molto e a ragione del secondo si è quasi taciuto, sui dieci telegiornali che ho visto solo due (su Rai Tre) parlavano della tragica concomitanza. Oggi sono venuta a sapere che anche sul discorso contro il terrorismo tenuto dal capo dello stato c’è stata una censura la Rai ha infatti tagliato il discorso fatto dal presidente dell’Unione Vittime Per Stragi Paolo Bolognesi. Lo allego qui di seguito perchè ritengo giusto che questo messaggio venga diffuso. Sono indignata di fronte a tanto cinismo e tanta indifferenza. A me sembra volontà di dimenticare e di farci dimenticare. Cancellare un pezzo così tragico della nostra storia è privarci della realtà. È un offesa per tutti coloro che sono morti perchè noi fossimo liberi.

Elogio di un Santo

Mitico. Walter sei un mito. Hanno ragione i camerati che ieri notte, con le croci celtiche e le braccia tesa al saluto romano, appena tre giorni dopo che l’Italia ha festeggiata la liberazione dal fascismo (così giusto per capire che umore tira…), hanno esibito un beffardo slogan: “Veltroni santo subito”. D’altronde è riuscito nel miracolo. “Con le primarie ha fatto cadere il governo Prodi. Con le politiche ha cacciato i comunisti dal Parlamento. Candidando Rutelli ha perso Roma”. Quello slogan è una perfetta analisi della sua ascesa (o discesa) politica. Certo, un’analisi striminzita, semplice, ma con un messaggio forte. D’altronde si trattava di uno slogan: di quelli che piacciono tanto a te, caro San Walter.

Eccolo qua il mito, appena promosso come nuovo Santo, della politica italiana. E del centrosinistra. Quello del “We can” e del “I care” di qualche anno fa (se non detti in inglese, pare che i suoi slogan non sortiscano l’effetto sperato) . Lui sì, che ne sa. Caspita se ne sa. È un avanguardista, un apripista, uno moderno (più probabilmente postmoderno, cioè privo di fondamenta, disancorato e senza grandi ideali ad illuminare le sue buie idee).

San Walter è quello che non nominava mai Silvio durante la campagna elettorale (ma tramava, sperando in un pareggio, con il pregiudicato avversario) e si limitava al “principale esponente dello schieramento a noi avverso”, così giusto per crearli un altro po’ di suadente mistero intorno. San Walter è quello che si è schierato più contro la sinistra che contro il suo avversario, che non ha mai difeso l’operato del suo governo, seguendo la destra nell’opera di demonizzazione, che ha fatto cadere il governo, quando stava per ridistribuire il tesoretto, dopo due anni di sacrifici e malcontento. Ora quel tesoretto e il risanamento, se lo godrà il centrodestra e con le loro televisioni ci convinceranno che è merito loro. Mitico Walter. Hai dato la caccia alla sinistra, l’hai affossata per inseguire il bel Pierfendi al centro e ora ti ritrovi con un pugno di mosche bianche in mano. Mentre quelle nere ronzolano, tanto da infettare la capitale…

La realtà che non c’è. Eppure c’è

C’era una volta un piccolo regno. Una piccola comunità che prosperava in armonia e pace e ben retta da un vecchio e saggio re. Il re ascoltava le esigenze dei suoi sudditi (come si direbbe oggi: ascoltava la base…cosa che una certa sinistra non ha fatto…) e governava in maniera virtuosa. Perfetta intesa dunque tra i cittadini e il re. Perfetta sino al giorno che per un incantesimo l’acqua della fontana diventò pericolosa: berla significava diventare pazzi. Chi si abbeverò a quella fontana (l’unica in tutto il regno) percepiva una realtà che non esisteva, vedeva cose che non c’erano, avvertiva bisogni non reali. L’hanno bevuta tutti quell’acqua. Tutti tranne il re, che aveva un suo pozzo nel giardino. Egli, non bevendo quell’acqua, continuava a vedere la “realtà” per quella che era, ad usare il senno. Era l’unico non visionario, l’unico non incantato e la cui visione del mondo non era influenzata da quell’acqua maledetta. L’idillio a quel punto finì. Il re non riusciva ad andare di pari passo con il popolo: sapeva che la visione che il popolo aveva della realtà era distorta e sbagliata. Lo sapeva molto bene. Provò a farli ragionare, aprire gli occhi, riflettere. Ma non c’era niente da fare. Niente. Il divario di vedute tra re e cittadini era incolmabile. Il re si disperò. Chi aveva bevuto quell’acqua non riusciva più a disintossicarsi e tornare a vedere la realtà con altri occhi. Al vecchio re non rimase che un grande dilemma: continuare sulla sua strada, ovvero non bere quell’acqua e non assecondare le visioni distorte del popolo, oppure bere quell’acqua, intossicarsi e procedere di pari passo con le esigenze della gente. Il re optò per questa seconda scelta. Andò alla fonte, si abbeverò con quell’acqua maledetta e cominciò ad avere visioni. Vedeva il mondo con occhi diversi: la realtà era deformata, non “reale”, distante dalla realtà. Ma. Già, c’era un ma: la vedeva con gli occhi della gente. Della sua gente. Andava di nuovo di pari passo con loro. Ascoltava di nuovo le richieste dei suoi sudditi. E l’idillio continuò. Le favole a questo punto finiscono con un: e vissero felici e contenti. Un po’ come gli happy ending dei film hollywoodiani.

Riflessioni su un viaggio americano. Ultimo atto. L’americanizzazione

C’era una volta l’anomalia italiana. In Italia era attivo il più grande e forte partito comunista d’occidente. Per questo gli USA non la perdevano mai d’occhio. Troppo importante, strategicamente, per lasciarla in mano agli italiani. Ingenti aiuti economici e militari, per limitare, con mezzi leciti e meno leciti, l’ascesa al potere dei comunisti in Italia. Poi il partito si sciolse, dopo la caduta del muro di Berlino, e venne, subito dopo, rifondato. Andò al governo e lo fece cadere. Allora si scisse. Si riappacificarono, pur tenendo distinti i nomi dei partiti, ed andarono al governo. Tutto sino a qualche mese fa. Un vecchio volpone della politica, nonché ministro della giustizia, facendo male i conti elettorali decise (non da solo, ma anche sotto indirette pressione del neonato partito che raccoglie ex comunisti e ex democristiani) di far cadere il governo. Giungiamo così alla nuova anomalia italiana: unico paese occidentale che non ha socialisti in parlamento. Lasciamo pure perdere i comunisti, che pure sono rappresentanti in qualche altro paese (non tantissimi a dire il vero), ma i socialisti ci sono (quasi) ovunque. Ma non in Italia. È la prima volta, dal dopoguerra, che in parlamento non si trova neanche una persona che si rifà al partito socialista o comunista. È l’Italia che cambia, ragazzi. Non è mia intenzione esprimere giudizi di valore, perlomeno in questa sede, sulla cosa. Era, ed è, una constatazione di fatto. Ci stiamo americanizzando. L’hanno detto quasi tutti. Lo dico anche io. E non da oggi, ad essere sinceri. La direzione sembra essere questa: vogliamo fare gli americani. Non solo per il bipartitismo. Tutta la campagna elettorale è stata filoamericana.

Riflessioni su un viaggio americano. Quarta parte

Ultime battute e riflessioni, per ora, sul viaggio americano. Che poi sono riflessioni sulla situazione statunitense. Voglio concludere queste note sul viaggio, ritornando all’inizio, al lungo viaggio per arrivare nel far west, nella costa occidentale degli Stati Uniti. Partenza Alghero, direzione Roma. Ore 6.40 del mattino. Uno dei primi aerei della mattinata. In ritardo. Ma come si può essere in ritardo con il primo aereo della mattina? Capisco la sera, perché minuto dopo minuto si accumula un ritardo di ore, ma che il primo aereo parta con un’ora e trenta di ritardo. Misteri italiani. Ah l’italietta…Bella, affascinante, dove si mangia bene e ci si sollazza al sole, ma disorganizzata e in mano ad incompetenti (non è un’affermazione da bar, ma la spietata analisi fatta da Giddens l’anno scorso durante la sua lezione all’Università di Cambridge. Certo da uno dei più grandi sociologi viventi ci si aspetterebbe qualcosina di più e di più articolato, ma forse non ha trovato altre parole per descrivere il nostro bel paese…) Corporativista, chiuso e gerarchica. Feudale per giunta. Così invece l’ha definita, sempre l’anno scorso (e che sia stato un anno nero per l’immagine dell’Italia?) il presidente di uno dei più importanti centri studi di ricerca italiani. Mica bau bau micio micio…

Riflessioni su un viaggio americano. Terza parte.

L’America ci incanta sempre. Ah in America si trova questo; ah se fossimo in America; ah l’America… Ce l’abbiamo proprio nelle teste. E nel cuore. Anni e anni passati di fronte alla TV a sognarne i miti e a desiderare quello che gli adolescenti americani desiderano, a gioire o disperarci quando loro si disperano, a sentirci tutti americani. Anni e anni dicevamo: e tutto quel tempo ti forma. Siamo esseri sociali perché immersi nella società che ci circonda. Siamo esseri mediali, perché ci formiamo, anche, in relazione ai media. Più tempo si trascorre in compagnia dei media e più informazioni riceviamo da loro e più probabilità che ci formino abbiamo. Pensiamo ad MTV: milioni di ragazzi trascorrono il proprio tempo libero guardando le sue trasmissioni. Clip musicali, che altro non sono che semplici operazioni commerciali, vengono trasmessi in continuazione, veicolando immagini e spaccati della vita statunitense. In MTV troviamo un concentrato di postmodernità. Lo so, lo so: la discussione su cosa sia e cosa no la postmodernità è tutt’altro che finita. Ma io, dovendo prendere parte, patteggio per la postmodernità. E gli USA sono un paese postmoderno. Caspita se lo sono. Ritorniamo ad MTV però. Già perché lì ci siamo fermati. Se ci pensiamo bene non offre giudizi e non crea punti di riferimento. Tratta argomenti che Bourdieu avrebbe definito “omnibus”, senza cuore, senza anima e sui quali non si deve, e non si può, prendere parte.

Riflessioni su un viaggio americano. Seconda parte.

L’abbiamo detto. Gli Stati Uniti sono un paese double face. Hanno tutto e il contrario di tutto. Sono il paese delle contraddizioni, della democrazia formale che si scontra con quella sostanziale, della promozione delle democrazie ma anche delle guerre, che lottano per liberare un paese dal dittatore ma con l’altra mano lo finanziano per anni. È un paese ricchissimo, fatto di general manager con salari altissimi che sfoggiano il loro lusso sfrenato, fatto di gioielli e auto sportive, ma anche di ville con piscina e bodyguard personali; ma è anche il paese con il più alto numero di homeless nel mondo occidentale. Tra le prime dieci università al mondo 8 sono americane: sono università per ricchi, università private, per figli di papà. Le altre università, quelle pubbliche o di provincia, sono tra le peggiori del mondo occidentale. È il paese dell’eccellenza ma anche della mediocrità. In alcuni Stati non puoi fumare a sei metri dall’ingresso di un edificio pubblico ma puoi andare in un armeria e comprarti un’arma da fuoco. Il fumo fa male e dunque proteggiamo chi no fuma. Le armi? Quelle non fanno male? È il secondo emendamento, ragazzi. E già, lo dice la costituzione americana, lo prevede la legge. Dunque che si vendano armi, e poi non fa niente se qualche povero Cristo, incazzato con il mondo imbraccia la sua semi automatica (lo sentito dire nei film americani… anche se confesso di non sapere esattamente cosa sia) e fa una strage.

Riflessioni su un viaggio americano. Prima parte

gary-marx.jpgBeh, non sono mai stato un filo americano. Anzi tutt’altro. Ne ho più volte e in più luoghi contestato la smania imperiale, i metodi poco ortodossi di gestire la politica internazionale, le varie guerre, l’individualismo sfrenato, il neoliberismo come dottrina, il popolusimo messianico, la falsa retorica, il falso pudore e l’ipocrisia di fondo che serpeggia a tutti i livelli. Mille altre critiche ho rivolto a questo paese. Ma in una cosa almeno gli USA sono infinitamente superiori a noi: nell’Università e nella ricerca. Parlar male dell’Università italiana è un po’ come sparare sulla croce rossa: mancanza di finanziamenti pubblici e privati, sistema di assunzione di ricercatori basato su meccanismi non trasparenti (per usare un eufemismo), sistema fortemente gerarchico, poca serietà di una parte del personale docente ecc, ecc, ecc. Potrei continuare un bel po’ elencando i guai dell’Università italiana, dove è molto più importate whom you know that what you know, dove devi passare il tempo a cercare amicizie e alleanze più che a fare ricerca e studiare, dove per farti pubblicare un articolo (o almeno sperare che lo leggano) devi conoscere qualcuno. Sì, lo squallore del mondo accademico italiano è ben noto. Ed ora non ne voglio parlare.

2008 Hixon-Riggs Forum on Science, Technology and Society

secure-beneath.jpgIl convegno a cui sono invitato a partecipare come relatore annovera tra le proprie fila autori del calibro di David Lyon, Gary T. Marx, James Rule, Elia Zuriek and many others.

È organizzato da Gary T. Marx (Emiritus of Sociology, MIT) che quest’anno è Hixon-Riggs Professor of Science, Technology and Society at Harvey Mudd College.

Il tema è quello della sorveglianza e del controllo sociale. Il programma, e i relatori invitati a parlare, è di altissimo livello. Io dovrei fornire, come chiave di lettura, il punto di vista italiano. In realtà l’Italia non sembra avere grandi particolarità nell’ambito della sorveglianza, così parlerò sia del caso inglese (ben più interessante) sia del pacchetto di idee presentato da Francor Frattini lo scorso 13 Febbraio al parlamento Europeo. Parlerò anche del progetto del ministero dell’immigrazione inglese, denominato IRIS (Iris Recognition Immigration System), dell’incredibile numero di CCTV presenti in Inghilterra (4.2 milioni) che riprendono in media 300 volte al giorno i cittadini inglesi.

Temo invece che non avrò tempo invece di esporre le mie idee circa la società dei controlli e il ruolo crescente che in essa giocano le multinazionali.

Pagina 33 di 34

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén