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Autore: mragnedda Pagina 32 di 34

Tra controllo sociale e informalità. Spunti di riflessione

Stamattina, quasi per caso, incontro uno studente. Ci fermiamo a chiacchierare e decidiamo di bere un caffè insieme. Già questo semplice inizio potrebbe essere uno spunto di riflessione: fermarsi a chiacchierare con uno studente in un mondo accademico così formale potrebbe essere oggetto di discussione: perché in Italia si è così formali? Perché da noi esiste questo distacco docente/discente che nel resto d’Europa è impensabile?

A berci un caffè dicevo: il caffè è una droga socialmente accettata, a differenza di altre che pur essendo usate da migliaia di anni sono considerate da qualche decennio (dagli anni trenta in particolar modo) pericolose e proibite. Il caffè giunge a noi in prevalenza da paesi un tempo colonizzati dagli europei (e da qui il tema della colonizzazione e ora dello sfruttamento delle piantagioni di caffè, ma anche il tema del commercio equo e solidale che prova a rompere con le logiche dello sfruttamento); il caffè è una bevanda di compagnia, è un modo di relazionarsi agli altri. Insomma gli spunti di riflessione, anche partendo da questo semplice spaccato di vita quotidiana, non mancano. Ma non è di questo che voglio parlare ora.

Un sociologo, e più in generale uno studioso di scienze sociali, dovrebbe sempre porsi domande su tutto ciò che lo circonda, indagare il e sul banale, affrontare l’ovvio, senza cadere nell’ovvietà.

L’istruzione non è più un bene pubblico!

di Everardo Minardi (Università di Teramo)

L’istruzione non è più un bene pubblico! Questa è in sintesi la conseguenza del d.l. 112, approvato in via definitiva dal Parlamento il 2 agosto, e che contiene la norma per cui le Università italiane da istituzioni pubbliche possono decidere (a maggioranza semplice dei senati accademici!) di trasformarsi in fondazioni di diritto privato, con tutte le conseguenze che ciò comporta sui diversi piani giuridici e organizzativi (come quelli dei rapporti di lavoro).

Questa iniziativa del governo, già divenuta legge a tutti gli effetti, è stata ed è tuttora ampiamente trascurata non solo dai partiti, dell’opposizione in particolare, ma anche dagli organi accademici delle Università italiane, diversamente preoccupate dei tagli significativi alle risorse finanziarie (tra cui quelle del fondo di finanziamento ordinario f.f.o. e della ricerca scientifica.

In realtà la decisione di favorire e sostenere la trasformazione delle Università in istituzioni di diritto privato (al pari delle imprese in questo caso non profit), avvia indiscutibilmente il processo di privatizzazione di strutture da sempre pubbliche nel nostro ordinamento; ma tale provvedimento soprattutto introduce, con un vero colpo di mano, senza coinvolgere alcuna componente della Università, un principio che scardina la vocazione pubblicazione della istituzione universitaria.

Critiche al mondo accademico italiano

Il mondo accademico anglosassone mi sorprende ogni volta di più. O forse mi delude ancora una volta quello italiano.

Sto scrivendo un articolo in inglese su concetti quali surveillance and social control e ho spedito il mio articolo (o meglio la bozza) ai più grandi ed illustri studiosi del settore a livello internazionale: mi hanno risposto con una serie di input e commenti che sono rimasto senza parole. Oddio, dovrebbe essere normale nel mondo accademico, perché solo con il confronto, lo scambio e le critiche si cresce e si matura. Ma non è così in Italia. Non è così in questo mondo. Due anni fa, quando pubblicai il mio terzo libro, lo spedì a 70 docenti del mio settore (SPS/08): solo 4 mi hanno risposto (con una, RS, ora siamo anche amici ed abbiamo avuto modo, in seguito, di parlare in maniera molto proficua di questo e di altri lavori) dicendomi grazie e solo uno (che stimo tantissimo e non solo per questo) mi ha inviato un suo commento con critiche al mio lavoro. Mi ha talmente sorpreso quella sua risposta che ho stampato la sua email e ancora la conservo. Il suo nome è EC.

Coordinamento Giovani Accademici

Petizione contro il Decreto Legge n. 112 del 25 giugno 2008

Il Decreto Legge 112/08, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, prevede estensivi tagli alle risorse dell’Università e rende sempre meno attraente la carriera accademica in Italia sia ai molti giovani di talento sulla cui formazione l’Italia investe ogni anno, sia ai giovani formati all’estero. Il decreto taglia i finanziamenti, riduce al 20% il turnover del personale, prevede una privatizzazione (con meccanismi non chiari basati sulle Fondazioni) di alcuni dei comparti dell’università e taglia gli stipendi dei docenti. Quest’ultima riduzione si realizza rendendo triennali gli scatti biennali delle retribuzioni dei docenti. Gli aumenti biennali rappresentano la normale prosecuzione della carriera dei docenti universitari e come tali fanno parte a pieno titolo della retribuzione. Essi infatti derivano dalla scelta del legislatore degli anni ’80 di retribuire ragionevolmente un professore soltanto a fine carriera, diminuendo a ritroso tale retribuzione per i professori giovani. I professori italiani guadagnano molto poco all’inizio della carriera e ciò è macroscopico per i ricercatori universitari, che costituiscono il primo gradino della carriera dei professori. Il taglio degli scatti biennali senza una adeguata compensazione (per ora non prevista) in termini di aumento degli stipendi dei giovani accademici e il rallentamento della progressione di carriera (associata alla limitazione del turnover) si traducono in una pesantissima penalizzazione economica per coloro che sono strutturati da un periodo limitato o che si stanno affacciando ora alla carriera accademica.

Per risolvere un problema, basta fallo sparire dalle TV.

Un famoso assunto della teoria dell’agenda setting sostiene che i media ci dicano su cosa pensare piuttosto di cosa pensare, ovvero escludono dal nostro orizzonte percettivo alcuni problemi invitandoci a riflettere su altri. Ho già avuto modo di parlare della non notizia del caldo d’estate, che impazza e rimbalza in tutte le televisioni. Il fatto che le televisioni private (del nano) e quelle pubbliche (sempre del nano) ci invitano a riflettere sull’insignificante, significa escludere dalla nostra conoscenza altri problemi.

Durante i vari tentativi di spallata al governo Prodi, fatti di tentativi di corruzione, mogli di senatori assunte dal nano e amiche veline (per usare un eufemismo) assunte nelle televisioni pubbliche che noi paghiamo con il canone, bene in tutto questo periodo due cose tenevano banco: gli immigrati clandestini che ammazzavano a manca e a destra, che spadroneggiavano in un paese senza legge e ordine, che entravano illegalmente in massa nel nostro paese e rimanevano impuniti nonostante i vari reati di cui si macchiavano, e la vicenda rifiuti. Cumuli di spazzatura sulle strade campane (roccaforte del centrosinistra) e un’amministrazione incompetente e incapace di raccogliere la monnezza dalla strada. Tutte le televisioni ne parlavano. Entrambi questi problemi erano l’indice e la prova evidente dell’incompetenza di governo del centrosinistra. L’opinione pubblica (alla faccia di chi ritiene che i mass media, ed in particolare la televisione, non sortiscano effetti sui tele-cittadini) era impressionata (come i vari sondaggi dell’obiettivo Mannheimer dimostravano): governo incapace e da mandare a casa. Governo, poi, severamente punito alle elezioni.

Incredibile: siamo d’estate e fa caldo!

Non avevo la possibilità di collegarmi ad internet in questi interminabili giorni. Ragione per cui non ho scritto. E ragion per cui mi sono informato (o disinformato) guardando un po’ di TV. Telegiornali volgari, di parte, privi di morale. Al di là di queste ovvietà di epoca berlusconiana, una cosa mi ha fatto riflettere tanto: il caldo d’estate. Ne hanno parlato come se fosse una novità incredibile, tragica e dalle imprecisate e imprecisabili conseguenze. D’estate fa caldo. Dove sta la notizia? Un vecchio detto delle scuole di giornalismo americano insegnano che se il cane morde l’uomo non fa notizia, ma se è l’uomo che morde il cane, eccovi allora la notizia. Insomma a fare la notizia è la particolarità di un evento. Ciò nonostante tutti i telegiornali parlavano del caldo d’estate. Mi sono detto: ma ha sempre fatto caldo d’estate. Dov’è la notizia allora? Forse per via della mia giovane età, un tempo d’estate non faceva caldo. Questo atroce dilemma non mi dava pace. Ecco allora che ho chiesto aiuto ad un anziano saggio del mio paese natio, che viaggia ormai sui novant’anni ed ha una mente ancora lucidissima.

Dialoghi sulla libertà. Parte III

Chissà se gettare la spugna, presi dallo sconforto, dalla rassegnazione e dalla tristezza è un segno di libertà. Chissà se quando ci si arrende dinanzi al marciume del sistema, quando ti senti dire “è meglio che cominci a cercare altro”, lo stai facendo da uomo/donna libero/a, o invece da uomo/donna frustato/a, che sa di aver lottato sperando che qualcosa cambiasse, ma il mondo gli è corso davanti lasciandolo nell’assoluta indifferenza e impotenza? Ecco, l’impotenza e l’incapacità di farcela da soli pregiudicano la libertà? Se non puoi farcela da solo, devi necessariamente chiedere una mano: farlo, significa essere debitori a vita con quel qualcuno? E se si è debitori a vita con qualcuno come si può essere liberi? Quando ci si muove in un sistema chiuso, fortemente gerarchico ed autoreferenziale, o se ne assumono le regole o si getta la spugna e si abbandono il ring. O forse c’è chi si illude, che a furia di stare sul ring a prendere colpi, non importa se alti o bassi, regolari o sotto la cintura, qualcosa cambi e che ogni tanto, non sempre ovviamente, vinca il migliore. Ma a che prezzo?

Dialoghi sulla libertà. Parte II

Ma in quali meandri mi sono voluto infilare. Che diamine: parlare di libertà. Che mi sarà venuto mai in mente. Un argomento così vivo, così acceso e dibattuto e, al contempo, così difficile da incastonare all’interno di facili etichette o semplici aneddoti. Che diamine. Libertà, libertà, libertà. Libertà è scelta, libertà è possibilità di muoversi, mandare a quel paese chi vuoi, non subire ingiustizie, possibilità di ribellarsi, autodeterminazione. Libertà è la capacità, la forza e la possibilità di dire no. Libertà è tutto questo. Ma soprattutto, libertà è anche ben altro.

Dialoghi sulla libertà. Parte I

L’ho detto sin dall’inizio. Farò il punto sui problemi e i piani. Mi guarderò attorno e rifletterò a voce alta. Oggi mi va di farlo. Non so se lo faccio da studioso di scienze sociali e da comune mortale. Non lo so, e in fondo non lo voglio sapere. Voglio però riflettere su una delle cose più complicate sulle quali riflettere, utilizzata a manca quanto a destra, da tiranno e rivoluzionari, da schiavi e padroni: il sostantivo femminile, libertà. E lo voglio fare partendo da un aneddoto, tanto semplice quanto eloquente.

Proprio ieri ho incontrato un mio vecchio amico dei tempi di Cambridge. Un italiano che a meno di 40 anni ed ha già insegnato a Harvard, LSE, Oxford ed ora insegna a Cambridge. Prima cosa su cui riflettere: da noi sarebbe impensabile. A 32 anni stava già insegnando nella più prestigiosa università al mondo, dopo due anni è andato via per tornare nella “sua” London (dove ha fatto il Ph.D) per poi spostarsi a Oxford e infine approdare a Cambridge dove ora vive. La mobilità da noi è cosa impensabile e cosa assai più grave è impensabile costruirsi la propria carriera da soli. Ma per favore non fatemi dire altro.

I media rispettino il popolo ROM

Appello giornalisti antirazzisti

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a una forte campagna politica e d’informazione riguardante il tema dell’immigrazione. Siamo rimasti molto impressionati per i toni e i contenuti di molti servizi giornalistici, riguardanti specialmente il popolo rom. Troppo spesso nei titoli, negli articoli, nei servizi i rom in quanto tali – come popolo – sono stati indicati come pericolosi, violenti, legati alla criminalità, fonte di problemi per la nostra società.

Purtroppo l’enfasi e le distorsioni di questo ultimo periodo sono solo l’epilogo di un processo che va avanti da anni, con il mondo dell’informazione e la politica inclini a offrire un caprio espiatorio al malessere italiano.

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