di Massimo Ragnedda (Tiscali) Lo sdegno nei confronti dei black bloc sale. C’è chi propone leggi speciali, chi carcere duro, chi punizioni esemplari. Cittadini indignati in ogni angolo del paese si scagliano contro i black bloc e, spesso, li confondono con le centinaia di migliaia di persone che pacificamente volevano manifestare il proprio dissenso contro un sistema a misura di banca e non di persone. La classe politica compatta si scaglia contro i violenti. Il ministro dell’interno Maroni che, è sempre bene ricordarlo, è stato condannato definitivamente a 4 mesi e 20 giorni di reclusione per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, è durissimo contro i black bloc. Ferrara, che oggi scrive i discorsi del premier e tiene una rubrica propagandistica su Rai 1, è stato immortalato negli anni 70 con bastoni durante le manifestazioni. Alemanno a sua volta fu arrestato con l’accusa di aver lanciato una molotov contro l’ambasciata dell’Unione Sovietica a Roma, scontando 8 mesi di carcere a Rebibbia e poi prosciolto per non aver commesso il fatto (Ansa, 15/05/1988) e arrestato di nuovo qualche anno dopo a Nettuno (e scarcerato dopo pochi giorni), per resistenza aggravata a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, e tentato blocco di corteo ufficiale. E la lista potrebbe continuare. Ma non è di questo che voglio parlare, ma della violenza di alcuni che ha oscurato la ragione della moltitudine. Sembra un corto circuito mediatico, si parla solo della loro violenza, sono diventati i perfetti capri espiatori, il bersaglio mediatico sul quale convogliare la rabbia e la frustrazione dei cittadini per una classe politica incapace e sempre più scollegata dai bisogni reali delle persone.
Autore: mragnedda Pagina 25 di 34
Massimo Ragnedda (Tiscali) Il 15 ottobre era la giornata mondiale dell’indignazione. Una giornata carica di significato e di voglia di cambiare il mondo, di protesta democratica e di voglia di farsi sentire. Il 15 ottobre milioni di persone nei quattro angoli del pianeta sono scesi in piazza per protestare contro la distruzione dei diritti sociali e democratici e l’abbattimento del Welfare State provocata dalle ricette con cui i governi stanno affrontando la crisi economica. Crisi creata dal mondo della finanza e delle banche, ma pagata dai ceti più deboli e dai poveri. Il 15 ottobre in 951 città del mondo milioni di persone di ogni età, ma soprattutto giovani, sono scesi in piazza indignati per un sistema politico economico che si preoccupa di salvare le banche prima dei cittadini.
Massimo Ragnedda (Tiscali) S ono passati dieci anni, e decine di migliaia morti, da quando gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno lanciato l’attacco all’Afghanistan. Dieci anni dopo la guerra continua e probabilmente durerà almeno altri dieci anni (secondo alcune stime le truppe statunitensi non andranno via prima del 2024). Dieci anni dopo tutto come prima: tranne le casse delle multinazionali di armi, molto attive in campagna elettorale, tra le poche a gioire per questa inutile guerra. Non è un caso che, assieme a quelle petrolifere, siano sempre in prima linea finanziando massicciamente i comitati elettorali dei candidati al congresso e alla presidenza. Tutti, più o meno, sul libro paga delle multinazionali. Un chiaro conflitto di interesse: o no? In Italia, solo per citare il nostro caso, mentre il governo spende 27 miliardi di euro in armi e guerra, taglia 8 miliardi alla scuola e ai servizi sociali. In fondo ogni governo ha le sue priorità. Padre Zanotelli, intervistato sull’Espresso, si chiede: “Vorrei sapere che tipo di pressione fanno le industrie militari, come Finmeccanica, sul Parlamento per ottenere commesse di armi e quali percentuali prendono i partiti”.
Massimo Ragnedda (Tiscali)
Il nostro premier ha compiuto 75 anni. È di gran lunga il leader più vecchio d’Europa (almeno sui numeri saremo tutti d’accordo). Il paese è guidato da un ultra settantenne, ha un presidente della repubblica ultra ottantenne e ha un’intera classe politica (maggioranza e opposizione) vecchia: politicamente e anagraficamente. In uno dei momenti più difficili della sua storia, dinanzi ad una crisi senza precedenti e proprio mentre il Paese avrebbe bisogno di forze fresche, di giovani rampanti pronti a mettersi in gioco e a dare il loro contributo, l’Italia è governata da vecchi pensionati. Con tutto il rispetto per i pensionati. E per i vecchi. Ma non è un problema solo della classe politica, ma più in generale di tutta la classe dirigente. Manager d’aziende, intellettuali, politici e dirigenti: l’Italia è una Repubblica fondata sulla gerontocrazia, dove tutti i posti di potere sono occupati da anziani. Tutti.
di Massimo Ragnedda (Area89).
Il 23 settembre 2011 è una di quelle date che la Palestina non dimenticherà mai. Una data storica per tutto il Medio Oriente e per il mondo intero. È una giornata storica per chiunque abbia a cuore il problema della pace, dell’autodeterminazioni dei popoli e per la libertà di un popolo che da più di 60 anni attende di essere riconosciuto come stato. Il 23 settembre Abu Mazen ha ufficialmente chiesto all’ONU lo status di «194° Stato membro delle Nazioni Unite», limitato dai confini del 4 giugno 1967 con Gerusalemme Est come capitale. Dopo sessant’anni di guerre, ritorsioni, attentati è giunto il momento di chiedere direttamente all’Onu di riconoscere la Palestina come stato. Anche se, come lo stesso Abu Mazen sottolinea, ciò non può prescindere dai negoziati con Israele. Negoziati fermi da più di un anno mentre Israele continua a costruire illegalmente le colonie in territori palestinesi.
Massimo Ragnedda (Tiscali) L’ennesima figuraccia della Gelmini, un ministro scelto per caso, sulla scoperta che i neutrini siano più veloci della luce, è la riprova di una classe dirigente incompetente e non all’altezza dei compiti e della situazione. Quella figuraccia internazionale getta una cupa ombra sulle nostre istituzioni e sulle modalità di reclutamento della classe dirigente. Un tempo i ministri, i consiglieri, i consulenti, erano scelti tra i migliori. Proprio come una squadra: per ogni ruolo si sceglie il migliore. L’allenatore di una squadra non si sognerebbe mai di selezionare e far giocare un pessimo giocatore. Invece, la nostra squadra di governo è composta da persone nominate non per vincere, ma semplicemente per fare una squadra e tenere in piedi un governo fine a se stesso. Mentre l’Italia precipita giù. Chi può tirarci fuori dalla crisi? Scilipoti? Romano? Consentino? Milanese? E l’elenco sarebbe lungo e, ahimè, tristemente noto.
di Massimo Ragnedda (Tiscali)
Nascerà lo Stato palestinese? Dopo sessant’anni di guerre, di conflitti a bassa ed alta intensità, attentati, ripercussioni, rappresaglie, occupazioni militari, negoziati falliti, accordi disattesi, vedrà la luce uno stato palestinese? Un concreto passo avanti verrà mosso tra qualche giorno (il 23 settembre) da Abu Mazen quando chiederà per la Palestina lo status di «194° Stato membro delle Nazioni Unite», limitato dai confini del 4 giugno 1967 (compresi i territori occupati) e con Gerusalemme Est come capitale. Nascerà dunque finalmente uno stato palestinese? La richiesta che Abu Mazen presenterà a Ban Kin-moon da sola non basterà, anche se sono già 126 i Paesi che hanno riconosciuto la Palestina: sarebbero in tutto 140 pronti ad accettare la richiesta all’Assemblea Generale dell’Onu, dove occorre la maggioranza di due terzi per entrare come Stato osservatore. Tra questi non ci sarà l’Italia. Ma il problema, per la Palestina, non è l’assenza dell’Italia, oramai ininfluente a livello internazionale (a Tripoli, solo per citare l’ultimo caso, sono arrivati da vincitori il vice della Clinton, Jeffrey Feltman, e i premier Sarkozi, Cameron ed Erdogan, non di certo l’Italia che pur vantava una relazione storica e privilegiata con la Libia), ma il veto degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza, dove basta il veto di una delle cinque grandi nazioni per affossare la proposta. Infatti la portavoce del Dipartimento di Stato americano, Victoria Nuland ha dichiarato che gli Stati Uniti porranno il veto: ergo la Palestina come stato indipendente non nascerà. Per ora. Può il popolo palestinese, la comunità araba e tutto il mondo accettare altri 42 anni di vessazione nei confronti della Palestina e del suo popolo?
Massimo Ragnedda (Tiscali) Sono passati oramai dieci anni da quell’infausto giorno impresso, per sempre, nella memoria di tutti. Un evento epocale che ha cambiato la storia. Si dice che da quel giorno il mondo non sarà più come prima. È vero. Da quel giorno tutto è cambiato. Migliaia di persone hanno perso la vita, molte sono rimaste ferite, tanti in quei giorni si sono ammalati (vedi i vigili del fuoco) e moltissimi sono morti in seguito alle guerre infinite scatenate a causa di quegli attentati. Comunque la si voglia vedere, l’11 settembre ha dato il via ad un insieme di guerre, alcune ad alta intensità (vedi Afganistan e Iraq) e molte altre a bassa intensità (vedi tutte le operazioni militari lontani dagli occhi dei media) con effetti devastanti su intere nazioni e migliaia e migliaia di morti, spesso dimenticati dai media occidentali o etichettati come effetti collaterali (in Iraq, si calcola, che dall’inizio del conflitto siano morti quasi 110mila persone).
Massimo Ragnedda (Tiscali)
Chissà se un giorno i responsabili della crisi economica, gli speculatori, le sanguisughe delle risorse del pianeta pagheranno; chissà se quegli uomini che oggi da dietro le loro scrivanie affamano il pianeta, fanno fallire stati, mandano in rovina piccole e medie imprese e decidono le sorti di miliardi di persone nel mondo pagheranno. Chissà. Chissà se esisterà anche per loro un tribunale internazionale stile Norimberga, qualora fossero, come sarebbe giusto, giudicati responsabili dell’avanzamento dei deserti, dell’inquinamento dei fiumi, del disboscamento del pianeta e di tutte le modificazioni genetiche, dagli esiti imprevedibili, che stanno introducendo. Chissà se quei ricchi finanzieri, avidi e spregiudicati, insensibili e spietati, che con un click del mouse trasferiscono da una parte all’altra del pianeta miliardi di dollari (virtuali, ma con conseguenze reali) mandando in rovina intere nazioni, saranno un giorno processati. Chissà se quei finanzieri e ricchi banchieri che hanno fatto fallire la Grecia un giorno pagheranno.
di Massimo Ragnedda (Tiscali)
La domanda che tutti si pongono è: dove trovare i soldi per pagare la crisi? Io in realtà la domanda che mi sono posto e che ancora non ha trovato risposta è: chi ha creato la crisi e chi ci sta guadagnando? Forse gli economisti sono troppo impegnati a parlare di spread, di borse in affanno o in calo, di nervosismo dei mercati, di Bot o a dirmi che “l’indice Ftse Mib si attesta sul +1,50%”, senza in realtà spiegarmi cosa significhi. Loro che hanno in mano gli strumenti tecnici e intellettuali per spiegarci questa crisi non lo fanno, e noi, comuni mortali, leggiamo i giornali e guardiamo la Tv senza capirci più di tanto. Sappiamo solo che questa crisi la pagheremo noi.