Massimo Ragnedda (Tiscali) È iniziata la campagna elettorale francese e Sarkozy, in diretta TV, ha annunciato che la Francia da Agosto 2012 inserirà la Tobin Tax. L’obiettivo, dice, è dare una scossa all’economia e un segnale agli alleati europei. Se ne parla da tempo (la propose il premio nobel per l’Economia James Tobin nel lontano 1972) ma sinora non è mai stata applicata. A dirla tutta la tassa fu pensata fin dagli anni ’30 dal famoso economista John Maynard Keynes (James Tobin in realtà aveva ipotizzato una imposta sugli scambi sul mercato valutario) e difficilmente, perlomeno nella sua versione più valida, sarà applicata. La grande finanza internazionale, con le sue lobby e i media, lo impedirà. Infatti per essere veramente efficace dovrebbe essere adottata a livello globale, perché altrimenti i capitali e le speculazioni si sposterebbero sui paesi “liberi” (un chiaro eufemismo per dire, i paesi in mano alle banche): Cina e USA, ad esempio, difficilmente si troverebbero d’accordo.
Autore: mragnedda Pagina 24 di 34
Massimo Ragnedda (Tiscali) Se non fosse stato per la sua infelice battuta il suo curriculum sarebbe passato inosservato. Se non fosse stato per quella “sciocchezza” detta alla “Giornata sull’apprendistato” organizzata dalla Regione Lazio, i riflettori su di lui non si sarebbero mai accesi e il cosiddetto popolo dei social network, forse, non avrebbe cominciato a postare online il suo curriculum. Se non fosse per quella battuta infelice il viceministro al Lavoro e al welfare Michel Martone probabilmente sarebbe rimasto un anonimo sottosegretario figlio di papà, il più giovane del governo Monti, ma perfettamente in linea con l’establishment politico culturale italiano. È anagraficamente giovane, ma culturalmente e politicamente vecchio. E vecchi sono i modi di far carriera dei figli di papà in questo paese. Figlio d’arte, il padre, il Giudice Martone, era un frequentatore dello studio Previti ed è balzato agli onori della cronaca per quel pranzo a casa Verdini, venuto fuori durante le indagini sulla cosiddetta P3. Ma non è questo il punto. E il punto non è nemmeno che sia stato raccomandato dai vari Brunetta, Montezemolo e Sacconi. Non è neanche questo il punto. La cosa che, da precario della ricerca mi fa male, è vedere la sua fulminante carriera universitaria. È troppo facile definire sfigato chi non si è laureato entro 28 anni, per chi a 23 anni fa già il dottorato e a 26 anni vince il concorso da ricercatore e dopo neanche un anno il concorso da associato.
Massimo Ragnedda (Tiscali) E no caro professore. No e ancora no. Giù le mani dall’acqua pubblica. L’acqua è un bene comune e un diritto umano universale e deve essere gestito senza logiche di profitto. Credevo che su questo punto lo scorso 12 e 13 giugno gli italiani si fossero espressi in maniera chiara ed inequivocabile e che sull’argomento non si dovesse ritornare. Almeno per un bel po’. E invece evidentemente mi sbagliavo, visto che Prof. Monti con un decreto cerca di sovvertire la volontà popolare. E il PD su questo punto che fa? Se a sacrificare l’interesse generale per favorire i pochi fosse stato il governo precedente si sarebbe gridato allo scandalo, si sarebbe cavalcata l’onda, si sarebbe parlato di dittatura. Già le sento le dichiarazioni ufficiali di dirigenti nazionali che gettano benzina sul fuoco, che parlano di un governo lontano dagli interessi della popolazione e che sovverte la volontà popolare. Ma al governo ora c’è Monti, il professore che tutto può, in un paese governato senza opposizione e a colpi di decreto.
Massimo Ragnedda (Tiscali) Ancora il caso Sakineh. Ancora una volta la strategia della tensione, dello scontro, della diffamazione e della strumentalizzazione dei media. Ancora una volta riparte la campagna di odio contro il nemico, con un balletto di ipocrisie e false notizie, di strumentalizzazioni e violenza verbale. Sia chiaro: sono contro la pena di morte in Iran, come negli Stati Uniti, come in Cina, come in Arabia Saudita e in tutte la parti del mondo dove ancora questa barbara pratica è in auge. Appunto, sono contrario alla pena di morte senza se e senza ma. Alcuni, ipocritamente, sono contrari alla pena di morte solo in Iran, perché in fondo non sono interessati a salvare dalla morte la condannata iraniana, ma a condannare un’intera nazione e popolo. L’obiettivo, non dichiarato, è preparare l’opinione pubblica alla guerra: quella prossima ventura contro l’Iran. Sono contro la pena di morte, ovunque nel mondo, ma anche contro la strumentalizzazione dei diritti umanitari, della falsa retorica e dell’ipocrisia.
Massimo Ragnedda (Tiscali) Come definire il regalo di 2 mila miliardi di euro che la Banca Centrale europea ha fatto a tutte le banche dell’eurozona? Una vergogna? Un’ingiustizia? Una cosa necessaria? Io personalmente, ma il mio giudizio vale poco, penso si tratti di una profonda ingiustizia e di un’immensa vergogna che da valore a quel luogo comune secondo il quale il mondo è in mano alle banche. È un’affermazione che si sente nei bar, per strada, quasi mai in TV o nei grandi media; se ne parla con un tono di quasi rassegnazione e di sconfitta. Sconfitta per la democrazia e per una politica in grado di dare risposte ai cittadini e non alle banche. Questa volta però non è il solito avventore di un localaccio notturno (con tutto il rispetto dei localacci notturni) che sotto abbondanti libagioni alcoliche si lascia andare ad analisi di macro economia, ma è un dato di fatto. O perlomeno io lo interpreto così.
Massimo Ragnedda (Tiscali) Basta chiamarlo governo tecnico. Il governo Monti è chiaramente un governo politico; della nuova fase politica, dove le scelte politiche le dettano le banche, i grossi gruppi finanziari internazionali e i grossi investitori esteri. Sono loro che hanno in mano le sorti dell’Italia, dell’EU e degli altri Paesi democratici. Sono le banche i nuovi tiranni del XXI secolo. La chiamano Finanzocrazia, Bancocrazia, Spreadcrazia. Chiamatela come volete, ma è evidente che siano le banche a dettare l’agenda politica, e non solo in Italia. Prima la Goldman Sachs, per citarne una, si limitava a reclutare persone influente nei singoli paesi. Ora vi è stato un salto di qualità: mettere i propri uomini nei posti chiave, là dove si decidono le sorti dei paesi e dei loro bilanci. Vedi Monti e Draghi, giusto per fare due esempi a noi vicini.
Massimo Ragnedda (Tiscali) La manovra lacrime (non quelle della Fornero) e sangue, messa giù dal professor Monti è una profonda delusione. O meglio è una delusione per chi, ingenuamente, si aspettava che con un governo di tecnocrati conservatori puntasse ad una manovra equa. Ma così non è stato e così non sarà. Einstein diceva: “Non si può risolvere un problema usando lo stesso modo di pensare che ha creato quel problema”. Ergo, non si può risolvere il problema della crisi economica con un tecnocrate che arriva da quel mondo economico e finanziario che ha creato la crisi. Ripeto ancora una volta: nessuno mette in dubbio la professionalità del professor Monti. Anzi, al contrario. La sua professionalità è, in questo caso, un problema. È un uomo della finanza internazionale, fondamentalmente un uomo dei poteri forti, e che ha una visione elitaria della società. Già nel 1956 il sociologo statunitense Wright Mills scriveva, in “Le élite del potere”, che la società statunitense non è la società dell’uomo medio, ma di una ristretta èlite chiusa. Una piccola oligarchia composta tra tre élites: quella politica, quella economica e quella militare, che si coalizzano per impedire l’accesso al potere a persone estranee a questa cerchia. Ora questa èlite è estesa a tutto il mondo occidentale. In Italia, le tre èlites sembrano essersi fuse in un governo di banchieri, tecnocrati e militari.
Massimo Ragnedda (Tiscali) Gentile professore mi permetto di scriverle una lettera pubblica per farle qualche domanda. Abbiamo tutti notato il cambio di stile (finalmente un po’ di sobrietà e serietà), la sua professionalità e signorilità. Aspetti che, personalmente, mi rendono particolarmente felice, ma che da soli, vien da sé, non bastano. Dopo anni di volgarità e teatrini molto tristi, una persona per bene, normale e incensurata ci sembra un miracolo (come Enrico Letta le ha ricordato in quella lettera privata divenuta pubblica), mentre dovrebbe essere la conditio sine qua non per fa politica. Ma non è sullo stile che voglio interloquire con Lei. Come nostro presidente del Consiglio dovrà prendere delle decisioni molto difficili in nome e per conto degli italiani. Sinora lei ha goduto di un trattamento molto speciale da parte dei media nazionali: un po’ come i telegiornali Mediaset o il TG1 e il TG2 trattavano il suo predecessore. Converrà con me che questo non è giornalismo. Il cambiamento di stile lo vogliamo anche in queste cose: la possibilità di avere risposte a domande concrete. L’opinione pubblica ha il diritto di sapere, al di là della sbornia di entusiasmo, da chi è guidata e quali sono, al di là dei proclami, i suoi obiettivi di governo. Insomma, vogliamo sapere chi pagherà la crisi. Mi permetto, perciò, di farle qualche domanda. Sarò chiaro e diretto, nel solco del nuovo stile da Lei inaugurato.
di Massimo Ragnedda (Tiscali) Sono un antiberlusconiano convinto, della primissima ora, da quando un magnate dell’informazione (caso unico al mondo e molto pericoloso per una democrazia) si è affacciato direttamente sulla scena politica. Sono un antiberlusconiano nel senso che detesto il modo in cui, quello che buona parte della stampa internazionale ha definito senza esitazione un pagliaccio, ha governato il nostro paese. Sono un antiberlusconiano semplicemente perché l’Italia, terra nobile di cultura e ingegno, di viaggiatori e poeti, di santi e brava gente merita di meglio di un premier ridicolizzato in tutto il mondo (tranne che da Putin, Gheddaffi e qualche altro vecchio tiranno).
Massimo Ragnedda (Tiscali) Sono rimasto colpito dall’alto numero di commenti ad una mia precedente riflessione sui fatti del 15 ottobre a Roma. Un così alto numero di commenti fa comunque piacere: in fondo se un’opinione non lascia aperto un confronto e non provoca una discussione, significa che ha toccato fatti irrilevanti o si è espressa su argomenti omnibus (come il clima) sui quali non vi è possibilità di dissentire e disquisire. Ricordo che opinione [dal sost. lat. opinio -onis, o dal verbo lat. opinari, opinare] significa esprimere un personale punto di vista su determinati fatti, in assenza di precisi elementi di certezza assoluta. Ovvero un’opinione non stabilisce una sicura verità, ma più semplicemente una versione personale che, in assoluta buona fede, si ritiene vera. È dunque evidente che più il tema è caldo e controverso e più una personale opinione fa discutere, ovvero è opinabile: ed è questo l’obiettivo di un’area dedicata alle opinioni dove è possibile discutere e lasciare commenti. Ed è proprio partendo dall’alto numero di commenti e insulti (dato di fatto) che voglio esprimere una mia opinione (ovvero una lettura, personale e opinabile, dei fatti). Da sociologo non posso non notare quel pesante clima di iper-partigianeria, di insulti e di scontri accesi che aleggia nel paese, di incapacità di dialogo su temi importanti e controversi senza scadere nell’ingiuria e nell’accusa. È un clima che si respira ovunque: dal mercato ai blog, dalla strada alla tv, dai bar ai comizi politici. Mi e vi chiedo: che mostro culturale abbiamo creato se, in seguito ad una opinione (giusta o sbagliata che sia, ma espressa nei limiti del consentito e senza offendere nessuno), si crea un tale clima di insulti? Che clima culturale si è creato nel paese se si crede che l’insulto sia una modalità di espressione dell’opinione? È malata una società dove dinanzi ad un’opinione, per quanto provocatoria, ci si sente autorizzati ad insultare? Può l’insulto essere considerato un’opinione? Quali responsabilità hanno i media in tutto questo?