Il Pd deve scegliere con chi stare: con i suoi cittadini, con il suo elettorato, con coloro che ancora una volta e nonostante tutto gli hanno dato fiducia, o con Berlusconi? Deve scegliere tra cambiamento e restaurazione, tra rivoluzione e staticità, ta il nuovo e il vecchio. Il Pd che per un mese ha inseguito Grillo e i suoi per fare un governo di cambiamento, ora ha finalmente la possibilità, se vuole cambiare e imprimere una svolta al Paese, di trovare l’accordo sia per il presidente della Repubblica sia per formare un governo. Grillo, a tal proposito, è stato chiaro e si è assunto una grossa responsabilità dicendo di convergere sulla Gabanelli o, più verosimilmente, su Rodotà. Poi si apre la partita per formare un governo di cambiamento che, a parole, il PD dice di voler fare. Ora ha la possibilità di realizzarlo. Ovviamente Grillo ha posto condizioni (legge anti-anticorruzione e contro il conflitto di interessi, tra le altre proposte), ma sono condizioni condivise dalla stragrante maggioranza dei cittadini e punti imprenscindibili del suo programma. Prendere o lasciare. Grillo questa volta si è sbilanciato, rischiando anche un po’ agli occhi dei suoi più intransigenti elettori, e ha fatto il primo passo. Ora la palla passa al PD che deve scegliere con chi stare: nominare, di comune accordo con Cinque Stelle, Stefano Rodotà, una persona rispettabilissima, stimato guirista e uomo di altissima cultura istituzionale, o un presidente condiviso con il PDL, ovvero con Berlusconi che in cambio, come noto, chiede un salvacondotto per le sue aziende e per i suoi processi. Il PD scelga e subito. Ha i numeri per eleggere un grande presidente sin dall’inizio, oppure ha i numeri per suicidarsi. Scelga tra avvicinarsi ai suoi elettori o a avvicinarsi ancora di più a Berlusconi. Scelga con chi stare. Ma ricordi che il suo elettorato non perdonerà mai un ennesimo inciucio con Berlusconi. Mai.
Autore: mragnedda Pagina 19 di 34
Massimo Ragnedda (Tiscali) Correva l’anno 2003 e gli Stati Uniti, a capo di una coalizione internazionale, si preparavano ad invadere l’Iraq. Porteremo democrazia, pace e serenità, ripetevano i megafoni della propoganda occidentale. Faremo la guerra per avere la pace, ripeteva, con chiaro stile orwelliano, l’allora presidente statunitense Bush.
Qualche settimana prima dello scoppio della guerra, il 15 Febbraio 2003, le piazze di tutto il mondo si colorarono con le bandiere della pace. I manifestanti ripetavano: la guerra non risolverà i problemi, anzi porterà fame, miseria e morte. È stata la più grande manifestazione mondiale per la pace mai organizzata, milioni e milioni di persone ovunque nel mondo a chiedere ai propri rappresentanti nelle istituzioni di bloccare la guerra. Sappiamo come è andata: la voce di centinaia di milioni di persone è stata inascoltata. Come se non contasse, come se le orecchie di chi era allora al governo fossero sorde al volere della popolazione in nome della quale dice di governare. Dieci anni dopo le morti, gli orfani, la disperazione, la fame, la crudeltà, la violenza, i mutilati sono lì a ricordarci che chi chiedeva la pace aveva ragione e chi, per interessi privati e personali, ha scatenato la guerra aveva torto. Dieci anni dopo sappiamo che sono morti, secondo uno studio della Brown University, circa 190.000 iracheni, 4.488 soldati americani e almeno 3.400 mercenari statunitensi e molti altri mai registrati. Sappiamo che ci sono, secondo fonti Onu, 600mila orfani e 1.3 milioni di cittadini iracheni sono stati sfollati internamente e quasi 2,5 milioni sono fuggiti all’estero in esilio.
Massimo Ragnedda (Tiscali) Governare non è mai facile, soprattutto quando si eredita una situazione disastrosa. È successo a Monti quando ha eredito la pessima gestione economica, politica e istituzionale del terzo governo Berlusconi, ed è successo a Pizzarotti quando a Parma ha ereditato la pessima gestione economica, politica e istituzionale di Vignali (PDL). Monti ha imposto tasse altissime, favorito le banche, distrutto il tessuto economico e sociale del Paese portandoci in piena recessione. Una politica economica che anche lo zio di Bonanni, per usare una celebre battuta del sindacalista, avrebbe saputo fare. Su Monti e il suo fallimento, peraltro confermato dalle elezioni dove è stato severamente punito dagli elettori, abbiamo più volte scritto. Monti è passato dall’essere il super eroe salvatore della patria a professor superbocciato che, però, governa ancora l’Italia: un esecutivo che governa senza la fiducia del nuovo parlamento, altro paradosso di questo anomalo periodo postelettorale.
Il PD è in una situazione di stallo. A dirla tutta è il Paese, proprio mentre più ne ha bisogno, ad essere in una situazione di stallo. Senza governo, senza prospettive, senza futuro. E lasciamo perdere la battuta di Grillo che si può fare a meno del governo. Di questo passo non vorrei che la prossima battuta fosse: chiudiamo il Parlamento che costa troppo. Dai siamo seri adesso, perché il Paese sta morendo. Le imprese chiudono, i giovani emigrano, aumenta la povertà, aumentano i conflitti sociali, aumenta il disagio sociale. L’Italia sta morendo: lo vogliamo capire, sì o no? Siamo seri: diamo un serio governo al Paese. Lo coalizione di centro sinistra ha la maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato e, numeri alla mano, spetta al PD provare a governare. Ma non a tutti i costi. Mai e poi mai con questo PDL di Berlusconi, Formigoni, Polverini, Scilipoti, Razzi e simili. Mai con quel PDL che ha protestato contro il palazzo di giustizia di Milano. Ricordo che tra i deputati del PDL che protestavano contro la magistratura c’erano una trentina tra indagati e pregiudicati: sarebbero questi i “moderati” che B. vorrebbe portare al Quirinale? Pregiudicati e indagati che protestano contro la giustizia, dovrebbero guidare il Consiglio Superiore della Magistratura ed essere garanti della Costituzione? Ma scherziamo? Cose simili non succedevano neanche nei paesi sudamericani negli anni Settanta. Ha ragione la Annunziata quando, intervistando Alfano, ha detto: siete impresentabili. Non è un’opinione, ma un dato di fatto. Quale accordo “responsabile” si può fare con questi signori?
Massimo Ragnedda (Tiscali) Ho seguito con molto interesse e un pizzico di curiosità la diretta streaming dell’incontro tra Bersani (presidente designato) e i capogruppo alla Camera e al Senato del movimento Cinque Stelle. La prima chiara e semplice constatazione da fare è che senza l’ondata di novità introdotta dal movimento Cinque Stelle questa diretta streaming non solo non sarebbe stata possibile, ma neanche pensabile. Una novità che può essere utile, ma che non necessariamente significa maggiore democrazia e “apertura”. Crimi e Lombardi recitavano un copione già scritto, stavano ripetendo una decisione già presa, come in un talk show o in un reality. Mi dispiace che il movimento Cinque Stelle non abbia invece deciso di mandare in streaming la discussione interna quando si è deciso, apparentemente all’unanimità, di votare contro la fiducia. Perché negare lo streaming in quella occasione? Perché non far conoscere al proprio elettorato, e non solo, come e perché una decisione così importante (far nascere o meno un governo) sia stata presa? Troppo facile volere la diretta streaming quando la decisione è già stata presa e non volerla mentre la decisione si forma.
Massimo Ragnedda (Tiscali) Caro Beppe, permettimi questa mia pubblica missiva e permettimi questo mio pubblico appello. Qui nessuno ti sta chiedendo di fare inciuci o regalare i “tuoi” voti al PD per fare un favore al PD (per intenderci io non sono un elettore del PD). Qui la cosa è molto più seria e delicata: si tratta di fare gli interessi degli italiani.
L’Italia non può permettersi mesi e mesi di ingovernabilità così come non può permettersi un inciucio (quello sì che lo sarebbe) tra PD e PDL. Allora mi permetto di avanzare una proposta: fai un accordo pubblico, chiaro e alla luce del sole, con il PD, non “gratis” ma alle tue condizioni e che il PD dovrà accettare per il bene del Paese. E le tue condizioni sono quelle previste nel tuo programma, votato da un terzo degli elettori e che il 99% degli italiani chiede. Queste alcune delle condizioni per un governo di un anno (non è un diamante, non è per sempre) per fare le seguenti riforme: riduzione numero parlamentari; riduzione stipendi e benifici ai parlamentari; abolizione pensioni d’oro e doppie pensioni (risparmio stimato intorno ai 7 miliardi di euro, una finanziaria a costo zero per gli italiani); abolizione delle province; rinuncia ad acquistare gli aerei F-35 (risparmio stimato intorno ai 15 miliardi di euro, un’altra finanziaria); no alla TAV (risparmio stimato intorno ai 20 miliardi di euro, e sono 3 le finanziarie); riforma legge elettorale; legge anticorruzione; incandidabilità per i pregiudicati; legge sul conflitto di interessi.
Partiamo dai numeri: la coalizione Pd/Sel ha la maggioranza assoluta alla Camera avendo conquistato ben 216 deputati in più (340 contro 124) rispetto al PDL. Al Senato la situazione è molto diversa. Infatti a Palazzo Madama la coalizione guidata da Bersani (il vero perdente di queste elezioni e per questo dovrebbe dimettersi) ha la maggioranza relativa ma non assoluta e questo rende l’intero Parlamento ingovernabile. In queste fasi concitate e così confuse del dopo voto provo ad offrire alcuni scenari possibili e qualche spunto di riflessione. Innanzitutto spetta al Pd fare la prima mossa, in quanto partito di maggioranza, e queste alcune delle opzioni possibili.
Massimo Ragnedda (Tiscali). La campagna per il cosiddetto “voto utile” lanciata dal PD rischia di essere un boomerang per il partito guidato dal candidato premier Bersani. Complice una folle legge elettorale, l’appello dei Bersani a votare il PD e non Rivoluzione Civile, con lo spauracchio che Berlusconi possa recuperare, è in realtà controproducente, proprio perchè regala senatori (quasi ovunque) a Berlusconi. Va aggiunto che il PDL di Formigoni, Fitto e Polverini, non ha nessuna chance di vincere visto che, come tutti gli ultimi sondaggi disponibili prima del blocco imposto dall’AGCOM hanno fatto emergere, lo davano a circa 10 punti di distanza dal PD. Il pericolo che il PDL recuperi è, dunque, assolutamente inesistente. Il rischio è, casomai, un quasi stallo al Senato e per questo il voto utile proposto da Bersani rischia di complicare le cose. Lasciate che provi a spiegare il perché. Al Senato il primo partito/coalizione ha diritto al 55% dei senatori assegnati in una data regione a prescindere dalla percentuale dei voti ottenuti. I restanti seggi vengono ripartiti tra le forze che superano la soglia di sbarramento dell’8%. Insomma, in una regione in cui il PD vincerà sicuramente (pensate all’Emilia Romagna, alla Toscana, all’Umbria, alla Liguria, solo per citarne alcune) se Rivoluzione Civile superasse l’8% toglierebbe senatori a Berlusconi.
Massimo Ragnedda (Tiscali) Ci si aspettava il colpo di cabaret, il coniglio dal cilindro, il colpo della Vanna Marchi della politica. Ed è arrivato. Restituirà l’IMU agli italiani, in contanti o via bonifico (ma siamo seri, una volta tanto). Ovviamente mente sapendo di mentire, ovviamente promette sapendo che non potrà mantenere le promesse, così come non mantenne la promessa del milione dei posti di lavoro nel 1994, così come non rispettò il contratto con gli italiani del 2001, così come non rispettò l’abolizione del bollo auto e l’abolizione dell’ICI fatta nell’ultima campagna elettorale, nel 2008. Ma fa parte del suo modo di concepire la politica: promettere l’impossibile, mentire per regalare un’illusione. Ma questa volta è diverso: e come se è diverso. Mi dispiace per lui, ma la musica è cambiata: questo sciocc(o) colpo da maestro si è rivelato già un boomerang. L’ironia in rete si è già scatenata ricordando tutte le false promesse del venditore di pentole, come la rete lo ha già ribattezzato, e tutte le promesse che potrebbe ancora fare.