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Autore: mragnedda Pagina 11 di 34

Special Section on “Max Weber and Digital Divide Studies”: guest-edited by Massimo Ragnedda and Glenn W. Muschert

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Seminal sociologist Max Weber rarely wrote about media dynamics; however, the Weberian perspective offers rich potential for the analysis of various media issues, including the study of digital divides. In particular, the contribution of a Weberian school of thought to the field is the addition of noneconomic and nontechnical concerns to the study of digital inequalities, most notably the importance of status/prestige, legitimacy, group affiliations, life chances, and political relations as areas of focus.

Facets of social life are migrating and expanding on-line, including the functioning of key social institutions; yet digital participation (like all other aspects of social life) remains unequal. A Weberian perspective allows a multifaceted view of such digital divides which include the interplay of social class (lifestyle and culture), social status (prestige and market influence), and power (political impact). Indeed, these key distinctions Weber identified about inequality are still significant and important in the digital age, although this perspective is in its nascent stage. This Special Section focuses precisely on the potential of applying Max Weber’s thought to digital divide studies.

Rethinking the digital divide (Keynote presentation, University of Exeter)

ExeterKeynote presentation: Rethinking digital divide, University of Exeter 03/06/2015 As more aspects of social life are migrating and expanding on-line, systems of structured inequalities are now well-entrenched and replicated in the digital sphere. However, the development of the theoretical aspect of digital divide studies has lagged behind the development of more empirical studies.  Traditional studies of digital divides have tended to be macro in scope, and often convey flavour of government reporting on infrastructure and electronic capacities.  Of course, there are many exceptions among scholars working in a variety of fields, however even given a variety of national and cultural perspectives from which such studies emerge, the theoretical underpinnings of such studies often proceed from a narrow range of perspectives (most commonly critical social theory perspectives, such as those in the Marxist and subsequent traditions).  While the critical schools have indeed brought great insight to the field, the narrow stretch of social theories applied to digital divides is surprising, given the diversity of theoretical developments which have developed in social theories, especially in the last half century.

Digital Inequalities: are social inequalities already existing in the society reproduced and reinforced online?

oxfOxford Internet Institute, Oxford University, 02/06/2015

Abstract: Social inequalities present in the social structures are not disconnected with the digital inequalities presents in the digital sphere. Digital inequalities, seen as the different skills at using information sources and opportunities, are embedded in social structures. Previous social inequalities not only affect digital divides but reinforce and exacerbate pre-existing social inequalities. Furthermore, several patterns which characterize and shape the social structure such as education, skills, income, occupation and gender influence the access and the use of the Internet. Analysed from this perspective it seems that social inequalities already existing in the society are reproduced and reinforced online. It might be argued that there exists a kind of recurring cycle between social and digital inequalities. Namely, social inequalities are the root of digital inequalities, and at the same time digital divides increase and reinforce social inequalities already present in a stratified social sphere. However, it is unclear whether the digital divide simply exacerbates traditional inequalities, or whether it also includes counter-trends that might mitigate traditional inequalities while forming new modalities of stratification.  Similarly, do traditional forms of inequality simply replicate themselves in the digital sphere, or does the digital divide operate under its own dynamics?

L’ISIS e la responsabilità dei media

Screengrab from the ISIS video showing the execution of James FoleyC’è un esercizio semplice semplice che tutti possiamo fare per capire quanto poco affidabile sia l’informazione mainstream (quella dei grandi giornali e delle TV). Prendete i giornali del 2011 (fate una piccola ricerca su google) e leggete le opinioni dei vari opinionisti di regime (Concita Degregorio, Ezio Mauro, De Bortoli, eccetera) e vedete come presentevano la guerra del 2011 contro Gaddafi: una rivolta per portare la pace e la democrazia. Ti mettevano di fronte ad un bivio (tipico del fascismo): o con noi o contro di noi, dove il noi stava per democrazia, libertà e giustizia. Come essere contro questi principi? Chi può dirsi contrario alla libertà? Chi può dirsi contrario alla democrazia? Se non accettavi la guerra del 2011 (e non fummo in tanti a protestare allora) eri con la dittatura, eri con Gaddafi ed eri ovviamente contro la democrazia. Tutti sapevamo che la caduta di Gaddafi avrebbe comportato l’avanzata dei terroristi, ma gli opinionisti di regime questo lo omettevano. Napolitano, tutelando gli interessi atlantisti e non quelli dell’Italia,  spinse su un riluttante Berlusconi che, per vari motivi, era contrario alla guerra. Guerra che per l’Italia è stata e sarà un disastro: economico (le aziende italiane hanno perso contratti milionari) politici (era forte l’influenza italiana in Libia) e sociali (difficoltà a gestire il flusso immigratorio). Ma questo gli opinionisti di regime non ce lo dicevano. La guerra era cosa già decisa: il loro compito era quello di presentarcela con un volto più suadente.

Theorizing Digital Divide: Call for chapter

My colleague Glenn Muschert (Miami Univ.) and I are editing a book on the topic “Theorizing Digital Divide.”

We are organizing an edited volume which will examine how theories may be useful in conceptualizing and studying digital inequalities. Contributions are invited for this edited international collection of original chapters engaging theoretical themes on digital inequalities.

Please see the attached Call for Chapter Proposals for details on the scope, timing, and mechanics of this project. Also, please feel welcome to post this call for papers widely and to forward it to interested colleagues and students. We hope to see some proposals from many of you, and for now, please feel welcome to be in contact if you have any questions for us.

 

I costi della TAV sono già lievitati (tangenti e mazzette costano).

no-tav-no-mafiaMa chi lo avrebbe mai detto? Il costo della TAV è già lievitato dagli 8.3 miliardi di euro iniziali agli 11.9 miliardi di euro di oggi. E siamo solo all’inizio. Considerando che questa inutile e dannosa opera che sventrerà una collina piena di amianto, sarà pronta tra non meno di 18 anni, ma probabilmente saranno 25 o 30, provate ad immaginare quanto lieviteranno i costi. Corruzione, mazzette, infiltrazioni della mafia e della camorra. Così si gonfiano i costi di un’opera inutile che farà arricchire politici corrotti e mafiosi. I nostri soldi, quelli delle tasse per intenderci, dirottati verso criminali e politici (sia del PD che del PDL) per realizzare un’opera che quando sarà pronta (se mai lo sarà) sarà oramai obsoleta e superata (chi diamine prenderà il treno tra 30 anni per andare da Torino a Lione? Ma che diamine ci vai a fare a Lione?). Investire 12 miliardi di euro (che diventeranno una ventina negli anni) per costruire un’opera inutile non è solo folle, ma criminale. Si potrebbero destinare questi soldi per la messa in sicurezza del territorio violentato (dove mazzette e corruzione hanno spinto vero la cementificazione selvaggia) o l’ammodernamento della rete ferroviaria nazionale. Ma in quel caso non ci sarebbero grossi appalti con le relative mega tangenti ai principali partiti italiani. 12 miliardi di euro rubati alla collettività, un assalto alla dirigenza che non può lasciarci indifferenti. Sono i nostri soldi che vengono depredati da corrotti e corruttori. Ma il problema nell’Italia renziana, si sa, è l’articolo 18.

Muri che cadono e muri che crescono

muroSono passati 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino. Un quarto di secolo senza quel muro che, simbolicamente, ha rappresentato un’era, ha diviso il mondo e creato tensioni. Diverse celebrazioni hanno reso omaggio a quello che la Merkel ha definito un sogno che si è avverato. Ma da altre parti del mondo, non proprio così lontane da noi, un altro muro è stato costruito negli ultimi 10 anni. Un muro della vergogna, della segregazione razziale e dell’umiliazione per un intero popolo, è stato costruito in un paese che si affaccia sul Mediterraneo e che viene definito come “l’unica democrazia del Medio Oriente” . Un muro della vergogna , subito ribattezzato muro dell’Apartheid, che Israele ha costruito in territorio palestinese per segregare un intero popolo. Un muro che costringe centinaia di migliaia di persone a fare ore di fila nei check points militari delle forze di occupazione militare israeliane. Un muro che, come denuncia Amnesty International, “rappresenta una violazione costante del diritto internazionale, in quanto separa i palestinesi dalle loro terre agricole”.

Per la morte di Stefano nessuno pagherà: una vergogna di Stato

cucchiStefano era un ragazzo di 31 anni. Un ragazzo come tanti. Un ragazzo con problemi di tossicodipendenza alle spalle. Un ragazzo arrestato per possesso di qualche grammo di hashish e tre dosi di cocaina. Stefano è stato messo in custodia cautelare e processato per direttissima. Stefano morì 7 giorni dopo. Le immagini non lasciano spazio ad equivoci: è stato massacrato di botte. Lo testimoniano, oltre le foto, anche diverse persone che hanno visto le guardie “cercargli l’anima a forza di botte”, per citare il buon De André. Stefano è morto perché, secondo l’accusa, 3 medici si sarebbero rifiutati di curarlo. Stefano è morto nella vergogna delle carceri italiane. È morto per la violenza dello Stato sul suo corpo, è morto perché lasciato morire da medici che, tempo addietro, avevano giurato di prendersi cura dei malati e bisognosi. Stefano aveva bisogno di cure dopo essere stato massacrato. Nessuno pagherà per la morte di un ragazzo di 30 anni o poco più. Non pagheranno i medici che, secondo l’accusa, lo hanno lasciato morire; non pagheranno le guardie che, secondo l’accusa, lo hanno massacrato di botte; non pagherà nessuno perché Stefano non era un corruttore di giudici, un politico corrotto, un mafioso dal colletto bianco, un banchiere che ha mandato in rovina migliaia di famiglie. Per questo nessuno pagherà. Perché Stefano era un ragazzo come tanti. Un ragazzo debole e con i deboli lo Stato non ha pietà. Fosse stato un corruttore di giudici, un evasore, un corrotto lo avrebbero premiato. Ma Stefano era un ragazzo come tanti e per questo nessuno pagherà. Nessun colpevole per il massacro di un ragazzo di 31 anni. L’udienza è tolta, Vostro Onore.

Renzi taglia giustizia, istruzione e sanità, ma i suoi esultano. A loro basta un tweet per essere felici

++ Dl Irpef: Renzi, tasse diminuiscono per 15 milioni ++Il dramma dell’Italia è la corruzione: ci costa, secondo la corte dei Conti, circa 60 miliardi di euro l’anno. Renzi che fa? Invece di aggredire la corruzione, taglia i fondi sia alla Corte dei Conti che all’Autorità Anticorruzione. Geniale no? Si punisce il controllore e non il trasgressore. E visto che c’è ha pensato bene di tagliare altri 102 milioni di euro alla Giustizia. Non sia mai che qualche giudice provi a condannare qualche corrotto o corruttore. Non sia mai. Perché non è vero che i capitali esteri non arrivano perché c’è la corruzione o una giustizia lenta. Non arrivano perché c’è l’articolo 18, o meglio quello che rimane dopo la riforma Fornero-PD. Ma non basta. L’Italia è al penultimo posto in Europa per i fondi alla ricerca e all’istruzione. Renzi che fa? Taglia altri 148 milioni all’Istruzione. Ha ragione Renzi: è una vergogna essere al penultimo posto in Europa. Meglio essere all’ultimo posto. Infatti il taglio previsto per il prossimo triennio sarà di 421 milioni di euro. Ma che ce ne facciamo di un’istruzione di qualità e pubblica, avrà pensato il venditore di Firenze. Rottamiamola. E i renziani festeggiano leggendo l’ultimo tweet. In fondo ci vuole poco per estasiarli: bastano 140 caratteri di promesse e loro esultano (un po’ come Berlusconi faceva con i suoi proclami e barzellette: i suoi ridevano e le porcate passavano. Facile no?). Infine, dal cilindro, Renzi toglie anche un ulteriore taglio alla sanità: altri 11.3 milioni tagliati. Basta con l’idea di una sanità gratuita (non lo è quasi più oramai). Bisogna rottamare anche questo ultimo baluardo ideologico della sinistra. L’idea che la sanità debba essere pubblica e gratuita. Basta con queste vecchie logiche. Rottomiamo anche la sanità. E i renziani esultano, leggendo l’ultimo tweet. Poi quando si trovano a pagare il ticket all’ospedale, pagare per la scuola, aspettare anni per una causa civile sapranno con chi prendersela: con l’articolo 18, i sindacati e la vecchia sinistra. Dannato articolo 18, tweetta il venditore di Rignano sull’Arno. E i suoi esultano come dopo un goal ai mondiali.

La tragedia di Kobane e le colpe turche

KOBQualcuno ha paragonato Kobane – città curda al confine con la Turchia – a Stalingrado, più per il suo valore simbolico che non per dimensioni e contesto storico. Kobane, però, non è Stalingrado. Altri hanno invece paragonato Kobane a Srebenica, ma per fortuna ancora non lo è, anche se la direzione verso la quale si sta andando è quella. Molti, più acutamente, hanno paragonato Kobane alla Varsavia del 1944, quando nell’estate di quell’anno Varsavia si ribellò ai nazisti e l’allora Armata Rossa, a pochi kilometri dal fronte, non aiutò la rivolta, ma al contrario lasciò volutamente che i nazisti la soffocassero nel sangue. Stalin, cinicamente, non vedeva di buon occhio il fatto che Varsavia fosse liberata dalla resistenza interna non comunista, perché questo avrebbe ostacolato i suoi piani. Questo esempio storico mi pare più calzante. Infatti, anche la Turchia non aiuta i curdi e il suo immobilismo sta favorendo un massacro (una Srebrenica appunto). La Turchia vuole evitare che si ripeta in Siria quanto successo in Iraq: una regione più o meno autonoma dei curdi, cosa che potrebbe risvegliare i sogni di indipendenza dei curdi in Turchia (sono più di 15 milioni). Ma il paragone però finisce qui. Infatti Stalin e i polacchi avevano, nei nazisti, un nemico in comune, anche se avevano obiettivi diversi. Cosa che i turchi e i curdi non hanno. Anzi. La Turchia continua ad armare, sostenere e finanziare gli estremisti islamici dell’ISIS. Insomma sono i turchi e i barbari dell’ISIS ad avere un nemico in comune (anzi ne hanno due: Assad e i curdi) anche se obiettivi diversi. Per questo anche il paragone storico con Varsavia regge poco. Purtroppo quello che resta uguale a tante altre guerre e massacri nel passato è la miseria e la crudeltà dell’essere umano. Questo, davvero, non cambia mai.

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